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Si scrive “adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili”, si legge “diagnosi, controllo e monitoraggio”

 

Ripubblichiamo l’articolo a cura di Massimo Talone, postato sul profilo LinkedIn personale il 23 marzo 2022.

Massimo Talone è membro del Comitato Scientifico della Fondazione Dottori Commercialisti di Milano, e componente del Gruppo di Lavoro presso il CNDCEC sulle “Linee Guida per il rilascio del visto di conformità e congruità sull’informativa finanziaria aziendale da parte dei commercialisti”.

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Con questo nuovo articolo, approfondiamo il tema degli “adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili” di cui all’art. 2086 del Codice civile ed i “segnali d’allerta”, così come definiti dallo schema di decreto legislativo recante modifiche al Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in attuazione della direttiva (UE) n. 2019/1023, già approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 17 marzo 2022 ed attualmente all’esame delle commissioni parlamentari.

Innanzitutto, qual è il paradigma generale da cui bisogna partire (e da cui è partito il Legislatore) per comprendere appieno il nuovo corpo normativo?

Per comprenderne a pieno il significato esegetico e i conseguenti imprescindibili riflessi operativi su modelli di governo dell’impresa, sistema dei controlli interni e gestione proattiva dei rischi (in altre parole, sulla Risk Governance), bisogna fare un passo indietro e richiamare la fonte primaria di questo processo evolutivo del diritto sulla crisi d’impresa e l’insolvenza (la successione terminologica non è solo temporale ma anche gerarchica).

L’articolo 3 (Allerta precoce e accesso alle informazioni) della direttiva (UE) n. 2019/1023, approvata dal Parlamento europeo e dal Consiglio europeo in data 20 giugno 2019, così recita:

“1. Gli Stati membri provvedono affinché i debitori abbiano accesso a uno o più strumenti di allerta precoce chiari e trasparenti in grado di individuare situazioni che potrebbero comportare la probabilità di insolvenza e di segnalare al debitore la necessità di agire senza indugio. Ai fini di cui al primo comma, gli Stati membri possono avvalersi di tecnologie informatiche aggiornate per le notifiche e per le comunicazioni online.

2.  Gli strumenti di allerta precoce possono includere quanto segue: a) meccanismi di allerta nel momento in cui il debitore non abbia effettuato determinati tipi di pagamento; b) servizi di consulenza forniti da organizzazioni pubbliche o private; c) incentivi a norma del diritto nazionale rivolti a terzi in possesso di informazioni rilevanti sul debitore, come i contabili e le autorità fiscali e di sicurezza sociale, affinché segnalino al debitore gli andamenti negativi.

3.  Gli Stati membri provvedono affinché i debitori e i rappresentanti dei lavoratori abbiano accesso a informazioni pertinenti e aggiornate sugli strumenti di allerta precoce disponibili, come pure sulle procedure e alle misure di ristrutturazione e di esdebitazione.

4.  Gli Stati membri provvedono affinché le informazioni sull’accesso agli strumenti di allerta precoce siano pubblicamente disponibili online, specialmente per le PMI, siano facilmente accessibili e di agevole consultazione.

 5.   Gli Stati membri possono fornire sostegno ai rappresentanti dei lavoratori nella valutazione della situazione economica del debitore”.

L’utilizzo, da parte del Legislatore europeo, delle coniugazioni verbali “provvedono” e “possono”, così come le proposizioni e termini da me sottolineati, non sono meramente incidentali ma esprimono un ben precisa indicazione “culturale” ed “operativa” a cui il nostro Legislatore avrebbe dovuto da subito uniformarsi senza “adattamenti” e “ridimensionamenti” interpretativi.

Sappiamo tutti come è andata e del tempo perso in successivi correttivi e aggiustamenti resosi necessari (ahimè) per allineare il nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza ai postulati europei.

Sarebbe bastato forse leggere con maggior attenzione l’articolo di legge in questione, con “spirito aperto e libero da condizionamenti corporativi” per arrivare da subito al nuovo corpo normativo ed evitare il susseguirsi dei continui “rinvii”, “correttivi”, “sovrapposizioni” e “abrogazioni” che hanno caratterizzato questi ultimi quattro anni di (confusi) provvedimenti legislativi.

Ma tant’è lo stato dell’arte e ne prendiamo atto.

Torniamo, però, al paradigma generale che è possibile derivare da una lettura attenta e non superficiale dell’articolo 3 della direttiva 2019/1023.

Questo si articola in tre attività gestionali che, da processi operativi meramente discrezionali (in forza della c.d. business judgment rule), diventano ora prescrizioni normative, e quindi vincoli inderogabili, connaturati intimamente con la stessa attività d’impresa:

a)   Attività di diagnosi del rischio d’impresa, intesa quale rilevazione e verifica continuativa dell’adeguatezza reddituale, finanziaria e patrimoniale e, conseguentemente, della prospettiva di continuità aziendale (c.d. processi interni di valutazione dell’adeguatezza economico-finanziaria e patrimoniale);

b)   Attività di controllo, intesa quale attività ex ante e proattiva di pianificazione e gestione integrata dei rischi d’impresa (c.d. attività di pianificazione strategica ed operativa);

c)   Attività di monitoraggio, intesa quale attività ex post e reattiva di sistematica verifica di tutti quei segnali (alert), sia quantitativi che qualitativi, che possono indurre a ritenere che la probabilità d’insolvenza (risk profile) abbia raggiunto e superato la soglia massima tollerabile dall’impresa (risk capacity), in altri termini, le procedure di allerta interna (early warning system).

Fin qui i paradigmi generali a cui “devono uniformarsi” gli stati membri nel definire i sistemi d’allerta e i quadri di ristrutturazione preventiva (Titolo II della direttiva).

Vediamo ora di commentare, in modo estensivo e possibilmente operativo, gli obblighi di “adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili” di cui all’art. 2066 del Codice civile ed i “segnali d’allerta”, così come introdotti dallo schema di decreto legislativo, in fase di approvazione e già approvato dal Consiglio dei Ministri nella seduta del 17 marzo 2022.

 In verità, il d.lgs. n. 14/2019, che aveva introdotto il nuovo Codice della crisi e dell’insolvenza, all’art. 375 modificando il testo dell’art. 2086 del Codice civile, aveva già introdotto, senza però ulteriore specifica e definizione, il vincolo gestionale degli “adeguati assetti”.

Questa presunta “indeterminatezza” ha animato un vivace, quanto a mio giudizio paradossale, dibattito esegetico, sia in dottrina che in giurisprudenza, e alimentato la convinzione, alquanto speculativa, che in realtà nulla di concretamente operativo era imposto all’imprenditore collettivo.

La “questione” è stata risolta definitivamente dal citato schema di decreto legislativo, laddove si specifica, al punto 3 dell’articolo 3 (non a caso definito “Adeguatezza degli assetti in funzione della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa”) che:

 “Ai fini della rilevazione tempestiva della crisi d’impresa, le misure di cui al comma 1 [misure idonee alla rilevazione tempestiva dello stato d’insolvenza da parte dell’imprenditore individuale, N.d.R.] e gli assetti di cui al comma 2 [assetti organizzativi, amministrativi e contabili che deve istituire l’imprenditore collettivo, N.d.R.]devono [non, “possono”, N.d.R.]consentire di:

a) rilevare eventuali squilibri di carattere patrimoniale o economico-finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore (leggi: introdurre processi interni di valutazione sull’adeguatezza reddituale, finanziaria e patrimoniale) ;

b) verificare la non sostenibilità dei debiti e l’assenza di prospettive di continuità aziendale per i dodici mesi successivi e i segnali di allarme di cui al comma 4 (leggi: introdurre sistemi di tesoreria su base non solo rendicontale ma anche previsionale);

c) ricavare le informazioni necessarie a seguire la lista di controllo particolareggiata e a effettuare il test pratico per la verifica della ragionevole perseguibilità del risanamento di cui al comma 2 dell’articolo 13” (leggi: di fatto introdurre sistemi di pianificazione aziendale e controllo dei rischi d’impresa).

Ma non finisce qui.

Lo stesso articolo 3 dello Schema del decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri specifica cosa debba intendersi per “segnali di allarme” (ovvero d’allerta), derimendo in questo modo, ancora una volta in modo definitivo e “non interpretabile”, cosa si debba intendere per eventi premonitori di crisi d’impresa.

Si badi bene, di crisi d’impresa non d’insolvenza,  in quanto eventi riconducibili a quegli early warning che, nel Quaderno SAF n. 71, avevo definito “anomalie rilevanti” e che qualificano il concetto di “fattori determinati della crisi d’impresa”.

Si tratta di mancati o ritardati pagamenti nei confronti dei principali stakeholder aziendali (e non di squilibri patrimoniali che viceversa qualificano lo stato d’insolvenza).

Costituiscono, in particolare, segnali di allarme per gli effetti di cui al comma 3:

a) l’esistenza di debiti per retribuzioni scaduti da almeno trenta giorni pari a oltre la metà dell’ammontare complessivo mensile delle retribuzioni;

b) l’esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno novanta giorni di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti;

c) l’esistenza di esposizioni nei confronti delle banche e degli altri intermediari finanziari che siano scadute da più di sessanta giorni (introducendo un concetto di past-due più restrittivo di quello bancario che, come è noto, è di 90 giorni, con evidenti conseguenze nel rapporto banca-imprese) o che abbiano superato da almeno sessanta giorni il limite degli affidamenti ottenuti in qualunque forma purché rappresentino complessivamente almeno il cinque per cento del totale delle esposizioni;

d) l’esistenza di una o più delle esposizioni debitorie previste dall’articolo 25-novies, comma 1 (vale a dire, nei confronti dei così detti creditori pubblici qualificati: erario, enti previdenziali, agenti della riscossione).

Un ultima annotazione tecnica, leggermente discordante rispetto al dettato legislativo: nei sistemi di controllo e monitoraggio finanziario, il concetto di probabilità che deve associarsi all’evento “crisi d’impresa” deve essere la “probabilità di mancato o ritardato pagamento e non, come ahimè definito dal Legislatore (europeo e nazionale) la “probabilità d’insolvenza” che invece deve essere associata all’evento “insolvenza”.

Ma queste sono considerazioni “econometriche” che lasciamo agli studiosi di Statistica ed ai “puristi” della materia.

 

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